Jacques Benveniste come Alfred Dreyfus? Un onorato direttore di ricerca ingiustamente e ottusamente perseguitato nella Francia di fine Novecento, come lo fu l'onorato ufficiale dell'esercito nella Francia di fine Ottocento?
Sembrerebbe di sì, considerato lo spazio, due pagine
intere per tre giorni di fila, che Le
Monde ha dedicato, tra il 21 e il 23 gennaio scorsi, all'affaire Benveniste.
Presentato come il caso di un biochimico irriso e cacciato dal pantheon
della scienza ufficiale per aver osato proporre una ipotesi scientifica
rivoluzionaria nota come "memoria dell'acqua".
Va detto subito che il J'accuse del quotidiano parigino non
tocca, né per capacità letteraria, né per valore documentario,
le vette, ben più alte e solide, del capolavoro pubblicato nel 1898
da Emile Zola. E non darebbe davvero conto il parlarne, se non ponesse,
e non rappresentasse esso stesso, una questione importante di sociologia
e di comunicazione della scienza.
Tutto nasce il 22 maggio del 1996, quando Le Monde ospita
una libera opinione di Jacques Benveniste, in cui il biochimico ripropone
la sua verità scientifica e accusa quella setta di inguaribili razionalisti
che domina la scienza francese di rifiutare l'evidenza e di perseguitarlo
con zelo oscurantista. La libera opinione di Benveniste suscita l'immediata
reazione di due tra i più autorevoli membri della setta razionalista,
insigniti di premio Nobel: il fisico Georges Charpak e il biologo François
Jacob. I due, però, non si limitano a rispondere a quel che definiscono
il delirio di Benveniste. Ma se la prendono anche con la redazione scientifica
di Le Monde, colpevole di offrire spazio alla polemica, sempre più
gratuita, di un signore che disonora la ricerca di Francia. Indignata,
la redazione del quotidiano parigino assicura, a stretto giro di pubblicazione,
che a cotanto insulto saprà rispondere con i propri mezzi. Passano
sei o sette mesi e la risposta redazionale a Charpak e Jacob finalmente
arriva. Sotto forma di un'inchiesta che occuperà, distribuita in
tre giorni, ben sei pagine di Le Monde.
La questione, per nulla banale, di sociologia della scienza
sollevata dalla querelle è: quando la tesi di un ricercatore esce
dall'alveo del confronto di idee e della normale dialettica scientifica
per diventare delirio? La questione, neppure lei banale, di comunicazione
della scienza proposta da Le Monde è: quando lo spazio dato da un
media alle eresie scientifiche cessa di essere doverosa informazione e
stimolo culturale, per diventare comunicazione trash (spazzatura), concessione
alla scienza-spettacolo o, addirittura, cedimento ammiccante all'irrazionalismo?
Inutile dire che le domande non ammettono risposte certe
e definitive. E che le due questioni sollevate vanno risolte caso per caso.
Ma la storia dell'affaire Benveniste può aiutare a inquadrarle meglio.
E ad attrezzare per saperli riconoscere e affrontare, quando si presentano
sotto diverse e, a volte, accattivanti spoglie.
Vale la pena di ripercorrerla, dunque, la vicenda di questo affaire, sia
pur in breve, per cercarne il succo. Inizia il giorno, il 30 giugno 1988,
in cui la rivista scientifica Nature, una delle più note e prestigiose
al mondo, pubblica un articolo sulla "degranulazione dei basofili
umani indotta da una soluzione altamente diluita dell'anticorpo anti-IgE".
L'articolo è firmato, tra gli altri, da Jacques Benveniste, direttore
dell'Unità 200 dell'INSERM,
una delle maggiori istituzioni scientifiche francesi. Vi si afferma che
un effetto molecolare (la degranulazione dei basofili) è stato conseguito
grazie a una soluzione acquosa così diluita da non contenere neppure
una sola delle molecole (gli anticorpi) che normalmente lo producono. Insomma,
è come dire che un uomo caduto in mare è stato divorato non
da uno squalo, ma dall'acqua che una volta ha ospitato un pescecane e che
ha conservato memoria della sua voracità. Incredibile. E infatti
l'articolo, che pure ha superato la barriera della peer review, la revisione
esperta da parte di anonimi colleghi, è accompagnato da una nota
di John Maddox, l'allora direttore di Nature, intitolata: "Quando
credere all'incredibile". Nella nota il direttore non si dice affatto
convinto dall'articolo, che pure ha pubblicato.
E annuncia una sua visita diretta a Clamart, presso il laboratorio
di Benveniste, dove l'incredibile è accaduto. Per verificare se
l'acqua dell'Unità 200 dell'INSERM ha una memoria di pescecane anche
quando è sottoposta a verifica esterna. Prima che Maddox muova da
Londra alla volta di Clamart per la sua ispezione, con una intempestività
autolesionista che, da allora in poi, ne caratterizzerà spesso il
comportamento, Jacques Benveniste fa in tempo ad andare a Strasburgo ad
annunciare, a un recettivo congresso di omeopati, che la sua acqua, rivoluzionando
il sapere fisico e chimico accumulato in tre secoli di storia della scienza,
si comporta proprio come se conservasse memoria della molecola che vi ha
nuotato dentro. La scoperta, incredibile, ha ora anche una sua, non meno
incredibile, teoria. Può l'acqua avere una memoria? E può
un uomo in carne e ossa essere divorato dalla memoria che uno squalo ha
scolpito nell'acqua? La memoria dell'acqua è ormai un caso mondiale,
mentre John Maddox bussa alla porta del laboratorio di Benveniste, accompagnato
da due insoliti personaggi, entrambi americani: Walter Stewart, esperto
in frodi scientifiche, e James Randi, un mago pentito che ormai occupa
il suo tempo svelando i trucchi dei suoi ex colleghi e di chiunque si proclami
in possesso di poteri paranormali. In breve: il 28 luglio 1988 Nature pubblica
un resoconto dell'ispezione con un titolo che non lascia adito a dubbi:
"Alta diluizione, un'illusione". Maddox sostiene che Benveniste
non è riuscito a ripetere l'esperimento con successo. Che Stewart
e Randi hanno trovato svariate irregolarità nelle procedure di laboratorio.
E che, dulcis in fundo, lui stesso ha scoperto che la ricerca del biochimico
francese è stata finanziata con i soldi di un'azienda di prodotti
omeopatici. Deduzione: la memoria dell'acqua esiste solo nella mente fertile
e filo-omeopata di Benveniste. Il francese replica con quello che sarà
il leitmotiv del suo futuro argomentare: che altri tre laboratori, a Milano,
in Israele e in Canada, hanno effettuato il suo stesso esperimento, ottenendo
i medesimi risultati; che lui non è riuscito a fare altrettanto
in presenza di Maddox solo perché stressato; che è indignato
per il solo sospetto che i suoi risultati omeopatici possano essere stati
influenzati, come dire, dai soldi degli omeopati. Jacques Benveniste non
è uno qualsiasi. E' un biochimico con un solido curriculum e piuttosto
noto: è lo scienziato più citato dell'Accademia di Francia.
Ma non lasciarsi sfiorare dal dubbio di aver commesso un errore e pretendere
di rivoltare come un guanto la fisica, la chimica e la biologia note senza
l'onere della dimostrazione certa e inequivocabile, beh, è un po'
troppo anche per lui. In Francia, come nel resto del mondo, quasi nessuno
lo crede. Molti suoi compatrioti sostengono che un ricercatore di così
alto grado con un simile comportamento porta disonore alla scienza di Francia.
Il direttore dell'INSERM, Philippe Lazar, ha un bel daffare per evitare
che Jacques Benveniste sia costretto a lasciare la direzione dell'Unità
200. La vicenda potrebbe considerarsi conclusa nell'ambito della normale
dialettica scientifica, che prevede anche serie controversie, se Jacques
Benveniste accettasse il verdetto della comunità a cui appartiene.
Ma lui non è uomo che si tiri indietro. Va sbandierando ai quattro
venti e su molti più giornali che la scienza ufficiale è
conservatrice, che non vuole accettare la sua rivoluzionaria scoperta e
che lui è sempre pronto a dimostrare le sue ragioni a chiunque abbia
mente aperta e un minimo di animo sgombro.
Sopra, Jacques Benveniste.
La polemica è tale che Benveniste nel 1992 lascia l'INSERM e, con esso, la direzione dell'Unità 200. Ciò non toglie che Georges Charpak, fisico e premio Nobel, unanimemente considerato uomo in possesso delle caratteristiche richieste da Benveniste, si dica disposto a verificare, nel suo laboratorio, le prove sperimentali a favore della memoria dell'acqua. L'esperimento avviene nel 1994 con un esito, ancora una volta, disastroso per Benveniste. Che, ancora una volta, si giustifica dicendo: non sempre gli esperimenti biochimici sono ripetibili; lui si è sentito stressato; in altri laboratori il test è riuscito. In breve, il rapporto che Benveniste ha con Charpak e con l'intera scienza francese si deteriora definitivamente e tracima sui giornali. Assumendo toni accesissimi.
Jacques Benveniste non si sente indotto dalle circostanze
a una prova di umiltà e a ricercare forme più riproducibili
della verità in cui crede, ma rincara sia la vis polemica sia la
fantasia teoretica. Sostenendo da un lato di essere la vittima designata
di una setta razionalista che si è impossessata della scienza ufficiale
francese e non vuole prendere atto della sua straordinaria scoperta; e
dall'altro che per conferire all'acqua memoria di sé non serve neppure
entrare in contatto con le sue molecole: basta inviarle, anche via telefono,
le proprie impronte elettromagnetiche.
La memoria dell'acqua a questo punto cessa di essere un'eresia
scientifica, cioè l'ipotesi minoritaria di uno scienziato che pur
sentendosi isolato non rinnega il metodo scientifico di verifica, per diventare
quello che un inviperito Georges Charpak definisce "un delirio senza
limiti". Se questo limite, come sembra, è stato oltrepassato,
quale deve essere allora l'atteggiamento della redazione scientifica di
un giornale importante come Le Monde? Evocare la libertà di opinione
e continuare a conferire dignità di eresia scientifica all'ipotesi
di Benveniste? O prendere atto che il Rubicone è stato varcato e
che la memoria dell'acqua non ha alcuna legittimità scientifica?
Questo è quanto chiedevano Georges Charpak e François Jacob
a Le Monde lo scorso mese di giugno.
E quell'inchiesta giunta solo a fine gennaio, tanto lunga
e tardiva quanto noiosa, priva di qualsivoglia elemento di novità,
se non la cronaca aggiornata del reciproco scambio di epiteti, è
solo la confusa risposta a una richiesta chiara di assunzione di responsabilità.
Pietro Greco
Nature
E' l'homepage della rivista britannica; per accedere agli indici e
agli abstract del numero corrente e degli ultimi 4 numeri occorre registrarsi.
Il sito rimanda inoltre alle altre riviste della testata (Nature Genetics,
Nature Medicine, Nature Structural Biology, Nature Biotechnology).
At
water's Edge (Ai confini dell'acqua)
Numero speciale di una singolare 'newsletter online' dedicata a scoperte
e ricerche scientifiche che 'precorrono i tempi' e che per questo sembrano
ai limiti della stessa scienza. Il sito riporta anche l'indirizzo di posta
elettronica di Benveniste, per cui chiaramente parteggia (jben@micronet.com).